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Come spezzare le catene che legano la nostra spontaneità

Quando ci sentiamo stressati, insoddisfatti, frustrati o incompresi, tendiamo sempre a dare la colpa a fattori esterni: situazioni oppure atteggiamenti e limitatezza delle persone che ci circondano.
Vedendo le cose in questo modo è difficile che il nostro stato cambi, perchè non sempre le situazioni ed il modo di ragionare delle persone sono modificabili al 100%  ma soprattutto perchè quando si presenta una difficoltà, per quanto ciò sia difficile da accettare, non è mai solo dovuta a fattori esterni ma anche al nostro modo di fare (e non fare) e di reagire.
La domanda da porre per tentare di risolvere, dunque, sarebbe da rivolgere a noi stessi, e potrebbe essere, per esempio:

"quanto il timore di deludere le aspettative altrui limita la mia capacità di essere semplicemente me stesso, di dedicare tempo e risorse a ciò che mi piace fare e/o ottenere?"

E' solo una delle domande che dovremmo porre a noi stessi, in quanto potremmo anche chiederci "quanto sono disposto a darmi realmente da fare per cambiare le cose?" o "quanto sono davvero pronto al cambiamento necessario per risolvere ciò che non mi sta bene?" ...etc. ma oggi vorrei concentrarmi sul timore del deludere le aspettative che gli altri ripongono in noi.
Si tratta di quel timore che fa si che un ragazzo scelga l'indirizzo di studi o lo sport caldeggiato dai suoi genitori invece che quello che realmente desidererebbe, quel timore che contribuisce a far si che una donna entri in crisi non riuscendo a conciliare il ruolo di madre, quello di casalinga con quello di lavoratrice, poichè visto che nessuno può fare tutto e bene al 100%, qualcuno di questi ruoli andrà ridimensionato, magari accontentandosi di una casa un pò meno ordinata e menù sempre sani ma meno elaborati (o delegando le faccende domestiche), ma in tal caso si potrebbe andare incontro al disappunto del coniuge o della suocera oppure passando ad un lavoro part-time, ma in tal caso ci si potrebbe scontrare con le esigenze del proprio datore di lavoro. Dunque che fare?

Il concetto è che qualsiasi direzione si prenda nella propria vita, ci sarà sempre qualcuno che avrà da ridire.

Si può passare una vita intera a preoccuparsi delle reazioni di chi ci sta intorno, cosa che fino ad un certo grado è giusto fare, nel senso che è giusto fare attenzione ai sentimenti di chi ci circonda e rispettare gli impegni presi con qualcuno, ma non va bene quando si tratta di un timore talmente forte da portarci a reprimere la nostra spontaneità, i nostri sogni e desideri. 

Se questo è il tuo caso, se sei abituato a metterti costantemente in secondo piano, a zittire le tue esigenze e aspirazioni per "quieto vivere", stai pur certo che arriva un momento della vita in cui questa forma di continuo stress porterà a far si che "il vaso sia pieno": cade la goccia che lo fa traboccare e allora essere te stesso diventa una questione di vita o di morte. C'e' chi la chiama malattia , ma è solo lo spirito che ri ribella al bavaglio.
Quando si arriva a questo punto diventa fondamentale porsi la suddetta domanda, cioè, in altri termini, prendere consapevolezza del fatto che non sono tanto gli altri che devono darci spazio, sostegno e comprensione quanto che in primis sta a noi superare la paura del giudizio altrui ed auto-concederci la libertà di essere noi stessi.

La kinesiologia, la disciplina bio-naturale che io utilizzo e che è oggetto di questo blog, è in grado di fornire supporto a chi decide di intraprendere un lavoro su se stesso per liberarsi dalle catene che limitano la propria realizzazione personale e la propria felicità. Aiuta a prendere consapevolezza dei meccanismi subconsci che ci portano a comportarci in un modo piuttosto che in un'altro, che ci portano talvolta, senza rendercene conto, a compiere scelte che vanno contro i nostri desideri, compromettendo la nostra felicità e, con il tempo, il nostro benessere generale.

Attraverso la presa di consapevolezza e specifiche tecniche di riequilibrio, è possibile trovare il coraggio di cambiare. 
Scoprirai, così, che se hai fatto una vita ad adeguarti alle aspettative degli altri, nel momento in cui proverai semplicemente ad essere te stesso, le persone a te vicine ti diranno: "sei diverso, che ti prende?" e te lo diranno con tono di dissenso, quasi allarmati dalla perdita di una confortante certezza. E' una reazione iniziale, dovuta al fatto che il cambiamento fa paura. Se però, con un po' di eroismo, continuerai ad essere te stesso, potresti scoprire che le persone si rassegneranno, per poi addirittura cominciare ad apprezzarti e a rivolgersi a te in un modo che non avevano mai fatto, con maggiore stima e rispetto per le tue esigenze ed aspirazioni personali, oppure conoscerai nuove persone pronte ad apprezzarti per quello che realmente sei. Ad ogni modo l'esperienza ti mostrerà che i tuoi timori non avevano senso di esistere.

Se vuoi approfondire questa tematica o ricevere i miei trattamenti, contattami.

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NOTA: quanto esposto nel presente articolo non vuole costituire diagnosi ne indicazione medica. In caso di patologie e' sempre opportuno rivolgersi al medico e considerare i metodi bionaturali come supplemento complementare. 

L'approccio ai problemi


In questo post intendo condividere una mia riflessione in merito al modo di approcciarsi alla tematica del benessere. Nella mia esperienza di vita personale così come pure nella mia professione di operatrice in discipline bio-naturali, mi è capitato spesso di avere a che fare con malesseri che erano ritenuti irrisolvibili  e che invece si sono sistemati mediante i metodi che uso io o anche altri (come fitoterapia, omeopatia...etc.) uniti a determinati accorgimenti inerenti alle abitudini alimentari oppure con modifiche allo stile di vita e/o concentrandosi sulla risoluzione di alcuni conflitti interiori.

"Allora", dirà qualcuno, "se è vero che si può stare meglio se non addirittura risolvere quei disequilibri che minano la qualità della nostra vita e che sino ad oggi sono stati considerati cronici, perchè i medici, il cui compito è quello di occuparsi non solo del nostro benessere ma addirittura della nostra salute, non promuovono il ricorso a queste metodologie complementari? Se fosse vero che sono così efficaci nel promuovere il benessere psico-fisico, ce le consiglierebbero sicuramente. Vuoi che loro, che sanno tutto" nella nostra visione di stima assoluta dei medici "non ce lo raccomanderebbero?"

La mia risposta a questo legittimo quesito è questa: penso che il problema è che è davvero raro trovare medici che abbiano voglia di aprirsi a nuove eventualità, soprattuto quelle non pienamente dimostrate in ambito scientifico, desiderosi di ampliare la visuale anche a distretti corporei diversi da quelli della loro specializzazione. Così un reumatologo non considera quasi mai lo stato di benessere dell'intestino come possibile causa dei dolori del suo paziente, un grastrointerologo raramente considera come sta la tiroide...ognuno guarda il suo settore e così i casi in cui un sintomo nasce da un settore diverso non trovano soluzione e si tampona con farmaci sintomatici a vita. Era così per la mia orticaria, per fare un esempio. La mia non è una critica nei confronti della medicina ufficiale (alla quale  anche io faccio ricorso) bensì all'atteggiamento di molti medici e salutisti. Peraltro si stratta di un atteggiamento di superficialità e di limitazione di vedute che l'essere umano tende spesso ad avere, non vi è, temo, ambiente o settore professionale esente da questa tendenza.

Ho imparato a mie spese che sta soprattutto ad ognuno di noi mantenere la "visione di insieme" di noi stessi (comporre il puzzle) ed andare a cercare quei dottori (ed esistono) e quegli specialisti del benessere che approcciano in modo diverso da come appena detto.


Nella mia formazione come professionista in ambito di metodiche complementari, mi è stato insegnato ad approcciarmi alle problematiche psico-fisiche senza perdere di vista la globalità del soggetto, tenendo sempre a mente che non siamo fatti a compartimenti stagni: al contrario  i vari apparati corporei cooperano e si influenzano tra loro e più in generale, la parte strutturale, la parte biochimica e quella psico-emotiva sono strettamente in relazione. L'approccio corretto è quello di identificare le cause e non quello di limitarsi alla soppressione del sintomo.

Quando qualcosa mina il nostro benessere siamo noi a scegliere come affrontare il problema. Sta a noi restare aperti a sperimentare nuove strade per stare meglio, anche se ciò dovesse significare andare contro corrente.
Uno dei miei motti è "se fai sempre le solite cose otterrai sempre i soliti risultati".
Ognuno ha (o dovrebbe avere) in mano le redini della sua vita e nessuno può davvero prenderle al posto suo. Intendo dire che è necessario mantenere acceso il senso critico e non prendere per oro colato tutto quello che ci viene detto: se qualcosa non ci torna possiamo sentire un parere di un esperto che ha idee diverse, anche se fuori dal coro. 
Restare aperti, provare, non dare per scontato ed assoluto. Questo atteggiamento, a mio avviso, può andare bene in qualsiasi frangente della vita: nei rapporti interpersonali, nell'educazione dei figli, in politica... dappertutto.
Io amo circondarmi di persone che affrontano il quotidiano con questa disposizione d'animo "aperto" e pronte a uscire dalla zona di comfort di ciò che è noto e sicuro. Credo che questo atteggiamento sia la base per creare cose buone e per andare verso il meglio. Che ne pensate?
E voi, con che atteggiamento vi ponete nei confronti dei problemi inerenti al vostro benessere ed alla vostra felicità?

Nesso tra ipotiroidismo e fibromialgia


Tra i sintomi dell'ipotiroidismo (cioè tiroide "pigra") riscontriamo la stanchezza cronica, estrema freddolisità e dolori muscolari diffusi, tutti sintomi della Fibromialgia. Peraltro è interessante notare come sia molto frequente trovare persone a cui è stato diagnosticato sia ipotiroidismo che fibromialgia e guardacaso, dagli studi svolti emerge una correlazione tra le due problematiche
  • Uno studio del 2007 del Dipartimento di Medicina Interna - Divisione di Reumatologia, presso l'Università di Pisa, ha esaminato un possibile collegamento tra fibromialgia e ipotiroidismo di Hashimoto. Essa ha concluso che la presenza di autoimmunità tiroidea può predisporre alla fibromialgia.
  • Nel 2010 uno studio clinico a cura del Dr. Ian Carroll ed il Dr. Jarred Younger, PhD della "Stanford Systems Neuroscience and Pain Lab" stava appunto analizzando il ruolo dell'ormone tiroideo T3 nella fibromialgia.I primi risultati mostrarono che pazienti ipotiroidei, trattati con T3 hanno sperimentato un certo miglioramento nei sintomi della fibromialgia.
Da tutto ciò la domanda nasce spontanea: 
e se, in alcuni casi (magari non in tutti), i vari sintomi che portano a diagnosticare una fibromialgia siano, in realtà, "solo" i sintomi di una sindrome di ipotiroidismo di Hashimoto? (che guardacaso spesso non è diagnosticata).

A questo punto chi è fibromialgico potrebbe anche porsi lo scrupolo di capire lo stato della sua tiroide, che ne dite? Peraltro tenendo conto che esistono casi di ipotiroidismo subclinico, ossia non poi così evidenti dal consueto esame del sangue che considera semplicemente il valore del TSH.

Ma mettiamo il caso di essere stati così "fortunati" (si fa per dire) da essere riusciti senza troppe peripezie a farsi diagnosticare l'ipotiroidismo: come, pur assumendo gli ormoni di sintesi prescritti dall'endocrinologo, non sempre si vede migliorare la fibromialgia? "Forse perchè non sempre curare  la tiroide crea beneficio alla fibromialgia" direte voi, o forse... perchè in realtà, nel nostro specifico caso, gli ormoni che si stanno assumendo non trattano adeguatamente l'ipotiroidismo! Infatti diversi ipotiroidei assumendo gli ormoni di sintesi vedono un miglioramento dei propri disturbi (compresi quelli tipici dell'ipotiroidismo), ma non sempre
(dipende dai casi) li vedono scomparire. 
Ecco perchè diversi medici sostengono che non sempre basti somministrare solo l'ormone T4, o la levotiroxina di sintesi ad es. l'Eutirox, come solitamente si fa.
Teoricamente infatti, la conversione da T4 a T3 dovrebbe essere eseguita da nostro corpo, in particolare dal fegato, ma non in tutti i casi succede.
Che fare dunque?

  •  Capre perchè questa conversione non avviene. Potrebbe essere utile intervenire sul benessere del fegato per riportarlo in condizione di svolgere il suo compito di trasformare il T4 in T3. Questo sostegno al fegato è fattibile mediante le tecniche Bio-Naturali che pratico nel mio studio, valutando anche l'utilità di opportuni integratori, come il desmodio, il "T43 CONVERSE" della PhytoItalia e alcuni accorgimenti alimentari.
  • Valutare (ad esempio attraverso il test kinesiologico delle intolleranze energetiche agli alimenti) se sia opportuno eliminare il glutine dalla propria dieta o quantomeno sostituire il glutine comune (moderno) con quello antico. Ci sono infatti degli studi scientifici che mostrano una correlazione tra ipotiroidismo e glutine. Nel parlo in questo mio articolo, e anche in in questo mio video.
  • Il medico potrebbe valutare idonea la somministrazione di ormoni bio-identici, ossia sostanze la cui struttura biochimica (e quindi il loro effetto fisiologico)  sia esattamente identica a quella degli ormoni prodotti dal nostro organismo, mettendo quindi il fegato in condizioni di attuare meglio la trasformazione da T4 a T3.
    Effettivamente il concetto che una sostanza naturale sia più facilmente assimilabile (e quindi efficace) di una di sintesi non mi pare così strampalato: basti pensare a quante persone hanno effetti collaterali se assumono ricostituenti a base di ferro di sintesi mentre non ne hanno se assumono la clorofilla, fonte naturale di ferro.

    Dove trovare dunque questi ormoni tiroidei bio-identici? Ebbene, sono contenuti nella polvere di tiroide secca (in genere di suino).

    Una delle possibili strategie per affrontare la problematica dell'ipotiroidismo dunque consiste nel provare,
    sotto controllo e prescrizione medica, a sostituire l'assunzione degli ormoni di sintesi con la tiroide essiccata di maiale. Non è detto che sia sempre la soluzione adatta e non è detto che risolva anche l'eventuale fibromialgia concomitante ma visto che molti testimoniano che nel loro caso ha cambiato la vita.

Che altro possiamo fare per l'ipotiroidismo?  Cosa possiamo fare per la fibromialgia?

Molto altro ancora:

Nel mio lavoro mi affianco al percorso medico che la persona compie, per offrire tecniche bio-naturali (quelli che alcuni definiscono "medicina" complementare) mirate, sorprendentemente efficaci e al contempo non invasive
Sono Kinesiologa Specializzata e utilizzo quotidianamente i metodi bio-naturali per aiutare le persone a ritrovare il loro equilibrio in modo naturale e duraturo.

Ecco i benefici specifici a cui possiamo mirare nel caso di ipotiroidismo e/o fibromialgia:
Non dimentichiamo inoltre che tra le cause che portano alla fibromialgia c'è anche, molto più spesso di quanto si creda, l'atteggiamento interiore di un costante "trattenere", "resistere", non "lasciare andare" e questo è un aspetto sul quale mi trovo a lavorare molto spesso e con efficacia. Ho dedicato un video a questo argomento, clicca qui per vederlo.

Contatta Studio Artemide al 3479807391 o scrivi a sara.vallenari@gmail.com per fissare il tuo appuntamento. 


Altri miei articoli sulla tiroide:

Altri miei articoli sulla fibromialgia:

Altri articoli esterni:


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NOTA: quanto esposto nel presente articolo non vuole costituire diagnosi ne indicazione medica. In caso di patologie e' sempre opportuno rivolgersi al medico e considerare i metodi bionaturali come supplemento complementare (e non come sostituzione alle cure sanitarie) per l'incremento del proprio benessere psico-fisico.  L'eventuale uso del termine "cura" riferito ai metodi bio-naturali è da intendersi come "prendersi cura" e non come "atto di cura medica".